Amore & Morte

Solamente le prime 2 parti...

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  1. Malice Mizer
     
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    Parte Prima: Desiderio di morte

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    L'enorme crocifisso in legno marcio era issato con due pesanti catene arrugginite a qualcosa che si perdeva nell'oscurità nell'altissimo soffitto della chiesa. Saltuariamente venivano giù gocce d'acqua piovana che si infiltravano fra le vecchie travi ed emettevano un tetro e battente rumore nel pavimento marmoreo. L'ambiente era polveroso e in disuso da tempo, era stato occupato come edificio religioso da un paio di giorni e, come di uso comune, era stato messo crocifisso lo scheletro del primo morto del reggimento; ancora era nella sua divisa sporca di sangue con una striscia di fori d'entrata obliqui. Le orbite vuote del suo teschio semicelate dall'elmetto sporco di fango sembravano fissare Akitaka , ma lui non si curava di ciò. Immobile e fiero nella sua divisa grigia lunga fino ai piedi i cui bottoni scintillanti ,dov'era impressa l'aquila imperiale, baluginavano come fari nella notte, illuminati dalla luna che faceva filtrare la sua fioca luce dal portone di ingresso distrutto e scardinato probabilmente da una stielhandgranate. I rotondi occhiali appannati della maschera antigas gli davano un aspetto grottesco, sembrava avesse un lungo ed inespressivo muso. Stava leggendo, stretto in mano, un foglio di carta speditogli dal capitano di fanteria Katsuhiko, quel foglio di carta che forse avrebbe condannato a morte lui, i suoi uomini ed il suo unico amore; gli ordini erano chiari: per gli onori riportati sul campo nei primi sei giorni di guerra la sua squadra, nel VI° reggimento di fanteria dell'esercito del sole splendente, era stata scelta per un importante azione di sabotaggio ai danni del nemico e doveva presentarsi alla tenda del capitano per ricevere istruzioni, alla fine vi era una minaccia diretta a lui stesso, se gli fosse scappata una parola sulla missione lo avrebbe spedito davanti alla corte marziale. Akitaka sentiva la sua testa girare, era terribile, non che avesse paura o non volesse servire la sua patria in guerra, non tanto per la sua incolumità, lui era un veterano, un vero soldato: colui che sfidava tortura e morte per infliggere tortura e morte; ma non poteva sopportare che Hiroshi, appena diciannovenne, venisse spedito all'inferno insieme a lui e alla sua squadra, se fosse morto sotto il suo comando non sarebbe riuscito a perdonarselo, se fosse morto non ci avrebbe pensato due volte a tirare fuori la sua vecchia Luger P08 e gustando il sapore metallico della canna a premere il grilletto, verso l'alto. Una folata di gelido vento che proveniva da fuori, volteggiando fra pozzanghere di fango ghiacciato e secchi arbusti coperti di brina, accarezzò il corpo di Akitaka penetrando con delicata forza nelle sue vesti, ebbe un fremito che lo riportò alla realtà. I suoi lucidi guanti di pelle nera martoriavano il foglio stringendolo eccessivamente, immobile con lo sguardo perso nell'orizzonte dove nuvole grigie si stagliavano in un cielo di un blu intenso ed innaturale, piegò il foglio in due parti identiche e lo intascò con un gesto lento e rassegnato. Camminando come chi va verso la forca si avviò all'accampamento, quella notte non sarebbe riuscito ad addormentarsi.


    Parte Seconda: Un tuffo nel passato

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    Come aveva già diagnosticato, Akitaka riuscì a dormire solo tre misere ore, il resto del tempo lo spese a pensare nella sua rigida branda. Voleva parlare della cosa con Hiroshi, il suo ragazzo, ma quando entrò nella camerata si accorse che che già dormiva come i suoi commilitoni, esausti dopo l'addestramento. Si fermò ad osservarlo:, si fermò ad osservarlo: era stupendo, sprofondato nel sonno aveva una parvenza ultraterrena, scorse con lo sguardo tutti i lineamenti del suo volto, erano fini e graziosi, un ciuffo dei suoi lunghi capelli neri erano riversati sulla parte destra del viso in forte contrasto con la sua candida pelle, le sue labbra rosee e leggermente carnose erano ora immobili e semichiuse, Akitaka rimembrò la prima volta che accostò le sue labbra screpolate dal gelo a quelle tenerissime di quella persona stupenda che poi sarebbe stata la sua unica ragione di vita. Era una fredda giornata invernale, la neve cadeva a grandi fiocchi tingendo di bianco il paesaggio; le truppe si trovavano dislocate tatticamente in un enorme spianata sconnessa da saltuarie rocce e spettri di alberi spogli. In lontananza l'obbiettivo, una città industriale chiamata Kerenzikof. Gli slanciati inceneritori delle fabbriche, emettendo lingue di fuoco, sembravano sfidare il plumbeo cielo mattutino completamente oscurato dalle nubi. Senza sosta i candidi fiocchi si abbattevano sui soldati che, di tanto in tanto, dovevano scrollarseli di dosso per evitare di divenire la tetra imitazione di un uomo di neve. Akitaka allora soldato semplice del VI° reggimento era l'addetto, dopo speciale corso, all'arma anticarro. La carica cava che stringeva nelle mani gli dava la forza necessaria, se avessero incontrato un carro nemico, lui avrebbe agito tenendo fra le dita le sorti di tutta la squadra; vittoria o morte, questo era il motto dell'Esercito del Sole Splendente, lui lo avrebbe seguito alla lettera. Dal I° al VI° reggimento erano tutti disposti nelle prime linee: eroiche squadre d'assalto o carne da macello? Erano tutti giovani che non superavano i vent'anni, Akitaka sperò che il loro unico scopo non fosse di far capire agli ufficiali di quanto fuoco disponeva il nemico asserragliato nella città più importante della regione. Dalle retrovie ove l'artiglieria era pronta a dare supporto alle squadre d'assalto si udì un improvviso rumore di cingoli in azione, quattrocento anime si girarono all'unisono. In mezzo ai pesanti obici color ruggine e ai grigi soldati che caricavano enormi proiettili in essi si stagliava una figura; sembrava un carro veloce, simile a quelli d'esplorazione o di supporto leggero ma era decorato in modo barocco e pomposo, ampie volute dorate erano in rilievo su di esso donandogli una regalità unica, un arco in marmo azzurro incorniciava un portellone rotondo aperto, dove dovrebbe essere stato il capo carro, tutti guardavano quello splendore e si comincio a sussurrare in giro, forse detto dai veterani, che quello era il carro del generale Matsumoto, capo di tutto l'esercito dislocato nella regione. Improvvisamente Akitaka sentì un nodo alla gola, quello era il generale, nel vederlo non sarebbe riuscito a mantenere freddezza, era troppo emozionato così come gli altri. Stringendo nervosamente il manico della sua carica cava tenuta come un enorme spada dei guerrieri dei tempi antichi osservava quella figura, che ora immobile ad una ventina di metri, si stagliava contro il sole mattutino. Si sentì improvvisamente rumore di antichi pistoni e impianti idraulici muoversi per sollevare qualcosa, pian piano spuntava dalla torretta una figura umana portata su da un antico meccanismo: Abito lungo fino ai piedi in pelle completamente nero, così come i suoi guanti. Spalline di puro oro si potevano intravedere coperte dai suoi lunghi capelli viola che spuntavano fuori dal cappello da ufficiale coperto di fregi e con una lucida visiera, sul suo petto vi erano decine e decine di medaglie di tutte le fogge che, rosse, nere, argento e oro si stagliavano sulla anonima divisa come stelle in un cielo notturno; i suoi pantaloni, anch'essi neri, si infilavano in lucidi stivali alti fino a sotto il ginocchio che gli davano un aspetto superiore, alla sua cintura era appesa una antica spada samurai in una fodera nera cesellata in oro e un lungo frustino che continuava per tutta la lunghezza della sua gamba. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, il suo volto risaltava su tutto, malgrado i suoi quarant'anni era di una bellezza eclatante, i suoi occhi di ghiaccio bordati da una fine matita nera scorrevano per tutti i plotoni e la sua bocca, quasi aperta in un sorriso compiaciuto, sembrava sul punto di dover fare commenti auto celebrativi per l'esercito che stava comandando e che era riuscito ad organizzare, tutti oramai pendevano dalle sue labbra. Akitaka guardò il generale in tutto il suo splendore, era la prima vota che lo vedeva e forse era anche l'ultima, pensò gettando un occhiata alla città di Kerenzikof che continuava a disperdere fumo nell'aria, come niente fosse: distaccata da tutto. Inizialmente era molto emozionato, pensava già a salutarlo sull'attenti, ma forse, se lo immaginava diverso, non era quell'uomo fiero, il tipico ufficiale di comando, non gli suscitava emozioni patriottiche; i suoi lunghi capelli leggermente arricciolati in fondo, i suoi occhi profondi come un baratro, i suoi fini denti candidi che lasciava intravedere, unito con l'abbigliamento del tutto particolare gli suscitava delle strane emozioni, contrastanti, mai provate. Quell'uomo aveva qualcosa di perverso, decadente e bellissimo che mandava in confusione e Akitaka in quel momento, era pesantemente confuso. Il generale aveva nascosto fra i capelli un antico propagatore di suoni, reperto di una tetra era di tecnologia, quando proferì parola la sua voce, così dolcemente potente, così profonda raggiunse anche i ranghi più lontani: "Miei soldati dell'Esercito del sole splendente." Matsumoto era calmissimo, i suoi capelli mossi dal forte vento misto al nevischio che gli sferzava il volto sembrava non suscitargli emozioni di nessun genere, continuò a parlare: "Quest'oggi nessuno di voi morirà perché chi non ha paura di morire vivrà in eterno…" una pausa interminabile in cui gli occhi del generale lanciati nel vuoto sembravano per un attimo riuscire a vedere oltre tutto e tutti, tornarono freddi e severi a visionare le truppe. Con un gesto repentino ma aggraziato estrasse la katana e la puntò verso Kerenzikof, l'affilatissima lama risplendeva alla luce del sole, che era oramai una sfera infuocata al tramonto che faceva risplendere le grigie nuvole e le cappe più alte della città nemica. In quel preciso istante nessuno pensò alla paura, alla famiglia lontana, alla guerra, alla città industriale, no, in quel preciso istante quattrocento anime emanavano forza psichica contro un'unica, carismatica, figura che si stagliava contro tutto, quasi a sfidare la vita, l'amore e la morte. Come era stato ordinato i veterani dei battaglioni, coriacei sergenti che ne avevano viste troppe dato il numero delle loro ferite, che forse erano già morti ma nessuno glielo aveva detto, cominciarono ad estrarre le loro nere katane e a dare i primi ordini: Mantenere le file! Centinaia di soldati si misero in ordine frettolosamente quasi imbarazzati di aver rotto le righe durante la visita del generale. Innestare le baionette! Centinaia di sferragliare di lame e centinaia di rumori di avvitamento si levarono dalla vallata. Prepararsi allo scontro frontale! I cuori dei soldati andarono in gola, la massa era in agitamento, gli uomini stringevano i loro fucili come bastoni mentre le lunghe lame innestate al di sotto sembravano richiamare vermiglio sangue. I sergenti tenendo alte le Katane aspettavano solo di guidare l'azione. Dalle retrovie si levarono forti cori come di chiesa, grandi organi venivano suonati, erano i riti della morte, nessuno li aveva mai sentiti prima; di solito venivano suonati da speciali reparti ecclesiastici combattenti, prima di qualche strage, uomini completamente in velluto rosso che non potevano, per vessazione religiosa, togliersi le maschere antigas, le loro oscure sinfonie avrebbero aiutato l'anima dei morti a salire in paradiso. Alcuni soldati già dalla paura tremavano ma lo fecero passare come un forte attacco di freddo, nessuno nell'esercito del Sole Splendente poteva avere paura, se non sotto diretto ordine di un superiore. Quasi come una mente collettiva i sergenti dei vari battaglioni, con fugaci occhiate di consenso fra loro, gridarono: "Carica! Vittoria o morte!". Akitaka tardò per un secondo e sentì qualcosa di immenso che gli si scagliava contro, forte come il mare in tempesta tutti i plotoni si stavano muovendo come un sol uomo e avrebbero travolto chiunque si fosse fermato nelle prime linee, capì che combattere accanto a uomini così valorosi, se non gli avesse salvato la vita, lo avrebbe fatto vivere per sempre nei ricordi di qualche malinconico e polveroso salone degli eroi. Sentire l'urlo di guerra di quattrocento soldati che stavano andando incontro alla morte fu un esperienza gloriosa e traumatica allo stesso tempo, mentre fra schizzi di fango misto a neve centinaia di anfibi battevano il terreno e centinaia di cuori battevano all'unisono sembrò che la strada da percorrere fosse stata infinita, nessuno sapeva ,se, e a che distanza avrebbero iniziato a sparare i nemici arroccati a Kerenzikof. Ad Akitaka già pareva di aver corso per decine di minuti, il sangue gli batteva nelle tempie mentre il suo cuore lo pompava all'impazzata facendogli fluire adrenalina in tutto il corpo, la sua carica cava lo appesantiva non poco e dalla primissima linea della sua squadra si trovò oltre la seconda, intorno a lui solo enormi rocce e la torreggiante città grigia a cui andavano incontro; pareva un mostro di cemento, acciaio e fumo nero pronto a fagocitare qualunque folle che osasse sfidarlo. A circa cinquanta metri dalla città, sottolineando l'estrema disciplina dei soldati nemici si levarono centinaia di armi dalle trincee improvvisate e dagli edifici, nessuno riuscì a contarle o a capire di che armi si trattasse nell'impeto della carica, l'unica certezza di ciò erano i bagliori che le canne emettevano illuminate dall'alba. D'Improvviso Akitaka si sentì come isolato da tutto e da tutti, sentiva solo il suo cuore battere e urla spezzate in modo incoerente, panico, non riusciva a mantenere la lucidità. Correndo meccanicamente, un piede dopo l'altro, stringendo la carica nella mani e emettendo dalla gola un acuto interminabile, senza rendersi conto di nulla correva verso la metà con lo sguardo fisso ed allucinato sul giaccone di un commilitone di fronte a lui, quasi a voler uscire mentalmente dalla battaglia, pensare: Io non mi trovo qui, qui c'è solo il mio corpo, tipico atteggiamento difensivo del cervello per evitare di impazzire. Ad un tratto le grida di rabbia ed impeto dei soldati si trasformarono, prima vi furono due secche esplosioni, poi solo grida di dolore e tormento, strazianti. Probabilmente avevano dei mortai, avevano colpito entrambi in pieno le folte linee dell'Esercito del sole splendente; Akitaka senti uno spostamento d'aria tremendo alla sua destra, varie schegge di terra e pietra lo colpirono, una sua occhiata fugace riuscì a visualizzare solo caldo e fumante sangue sulla neve del mattino. Dopo i due colpi di mortaio tutto era a rallentatore, Akitaka aveva la sensazione di mangiare chilometri senza sentire fatica alcuna, senza riuscire mai ad arrivare verso le linee nemiche, volti tetri e nascosti, lucenti canne; ad un tratto una scarica di piombo come fosse sparata da una mente collettiva si abbatte sulle loro linee, sentì sibilare qualcosa vicino al suo orecchio, sentì un dolore lacerante alla gamba, forse urlò, cadde, grida, panico, sangue, davanti a se un soldato si dimenava come uno scorticato vivo, per terra, urlando con il ventre squarciato dalle pallottole. La carica cava era ancora stretta nelle sue mani. Un colpo tonante si abbatté vicino a lui, non sentì più niente, non vide niente. Si ritrovò ad alcuni metri di distanza, sentiva bruciare il suo volto e la sua pelle, non riusciva a muoversi, stava gridando ma le sue orecchie erano invase solo da un fischio insopportabile, come se migliaia di aghi gli si conficcassero nella mente. Akitaka non seppe dopo quanto si riprese, forse svenne per qualche secondo, la cosa certa e che ora vedeva: lui in una pozza di sangue con la gamba forata, confuso e stordito; e le sue truppe che facendosi strada calpestando i corpi dei molti caduti si dirigevano come invasati verso il nemico. Continuare era una follia, una breve raffica di mitragliatrice vagante sibilò e si schianto per terra a tre metri da lui, era l'ora di mettersi al riparo. Strisciando aiutandosi con tutte e due le mani come per scalare una montagna, Akitaka riuscì ad arrivare dietro ad una grande roccia lasciando per terra una scia di sangue vistosa. Appoggiò la schiena dolorante per poi ritrarla subito, mugolò, aveva delle schegge piantate nella carne, faceva male. Il fischio dalle orecchie si fece sempre più flebile fino a scomparire, lasciando pian piano posto ad urla, strepiti e colpi di mitra. Akitaka stava tremando vistosamente, la sua carica cava era volata via chissà dove, aveva freddo, ma non era il freddo dell'inverno, non era il freddo della neve…era il freddo della morte. Si sganciò piano i pantaloni con le mani imbrattate di sangue, la sua ferità era grave; capì che doveva ricevere assistenza medica, la gamba era ormai bianca come il suolo coperto dai fiocchi gelati, la sua preziosa linfa vitale era sparsa ovunque e con il suo calore scioglieva la neve stessa. Riuscì coi denti a strapparsi un pezzo di manica abbastanza largo, sciacquò ferita e la garza improvvisata con la fresca acqua della sua borraccia, prima di berne un po' dato che la sua gola era arida, si strinse la benda attorno alla ferita gemendo dal dolore, e con un tocco si ritirò su i pantaloni. Tutto intorno a lui non sentiva che urla e spari, doveva solo attendere…forse la morte, ma doveva attendere. Forse era svenuto, le sue mani toccavano a terra liquido gelido, stringevano il vuoto, graffiavano con le unghie curate la dura terra. Il dolore era passato, non era un buon segno, non si sentiva più la gamba ferita. Gli occhi non riuscivano ad aprirsi, la brina gli aveva gelato le lacrime, sulle sue ciglia bianchi cristalli gli davano un aspetto particolare, sembrava provato da mille intemperie e mille fatiche, neve e sangue si mischiavano sul suo corpo di gelida decadenza, neve e sangue ricoprivano una gemente figura avvolta in una grigia palandrana, appoggiata ad un masso in un mare di cadaveri. Come cori paradisiaci: voci, lontane e vicine, urla e boati sinfonici, a spezzoni riusciva a recepirli senza comprendere ciò che sentiva. Lo shock della ferita e dei colpi forse l’avevano fatto delirare, ad un certo punto sentì un freddo intenso e torno alla realtà, la battaglia continuava. Piegando il collo con un secco gesto strascicato vide schiere di soldati, i suoi camerati, forse era salvo, erano davvero angeli per lui, e i loro urli d’odio e di guerra erano diventati cori fra il firmamento. Aveva la gola secca, dopo vari colpi di tosse riuscì ad alzare un braccio tremante e a emettere un mugolio sommesso, di disperazione, per attirare verso di se qualcuno che lo trascinasse fuori dall’oblio della ferita, dallo stato inerme in cui si trovava. Una ventata di maestrale gli fece socchiudere gli occhi, era pungente; le figure dei soldati erano oramai vicine, neve fango e sangue vennero sollevati da anfibi in scivolata, accanto a lui si assesto una figura in posa semi seduta: aveva una voce piena di grazia, dolce ma decisa: << Hai una brutta ferita, fermati e fatti medicare, potresti essere grave… >> La sua voce aveva un inflessione di tristezza. Akitaka si rilassò sul masso abbandonandosi alle cure di quell’ angelo, le sue mani erano dolci, strinse i denti dal dolore mentre si avvicinavano alla ferita, ma al contempo sentiva tanto affetto in quei gesti, lo guardò negli occhi…profondi e preoccupati come non mai, mai più se li sarebbe scordati, non avrebbe mai pensato che quel ragazzo dai dolci lineamenti femminili sarebbe stato l’uomo della sua vita. Un ago scheggiato si infilo nella sua vena facendolo sussultare, l’altro capo era connesso al braccio del suo soccorritore, da un tubicino di plastica cominciò a passare rosso fluido vitale…gli stava dando il suo sangue, gli doveva la vita, era un patto di sangue adesso che li legava, quel soldato, quel medico, quell’angelo… Gli occhi di Akitaka lo guardavano già con amore, era così bello e premuroso con lui. L’uomo gli lesse sulla divisa: << Akitaka... io mi chiamo Hiroshi, e sono medico del VI° Fanteria, sembra che abbiate indebolito abbastanza le difese di Kerenzikof, l’Imperatore ve ne rende merito…>>. Akitaka riuscì solo a dire flebilmente con lo sguardo perso verso Kerenzikof e verso le numerose esplosioni che si generavano nei silos delle sue fabbriche: <<ne sono felice…anche se purtroppo non sono riuscito a fare granchè…>> era decisamente sconsolato. << Non preoccuparti >> disse Hiroshi sorridendo, mostrando i suoi nivei denti continuò: << Sono sicuro che hai adempito al tuo dovere... >>. Un silenzio imbarazzante ricoprì la vallata, un silenzio imbarazzante interruppe la strana conversazione… << Hiroshi…>> Akitaka dicendo ciò tremava visibilmente <<: Avvicinati ti prego…>> I volti dei due erano vicinissimi, con un gesto affaticato Akitaka gli si avvicinò all’orecchio: << Sei stupendo Hiroshi, sei il mio stupendo angelo salvatore…>> Hiroshi non fece in tempo ad arrossire che le bocche dei due già erano una sopra l’altra. Dolcemente.


     
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  2. Ky0k0
     
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    Molto bella** Bravo!! Secondo me scrivi molto bene! le descrizioni sono fatte benissimo!!
     
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  3. Malice Mizer
     
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    https://www.youtube.com/watch?v=aGL3d9L_ouo...=malice%20mizer

    Ciò mi sta dando abbastanza ispirazione per continuare... XD
     
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2 replies since 26/7/2006, 19:27   229 views
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